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Hereafter, quando anche l'aldilà lascia indifferenti
Di Matteo @ 06/01/2011 - in Recensioni - Commenti (2)
Un film non riuscito. Possiamo scriverlo, anche se il regista si chiama Clint Eastwood e se nel suo curriculum troviamo opere del calibro di Mystic River, Million Dollar Baby e Gran Torino.
Ma Hereafter, dramma paranormale sulla morte, sull'aldilà e sul vuoto, non si attesta minimamente su questi livelli. Basato sulla premessa che la morte, lungi dall'assomigliare al nulla assoluto, può diventare, e forse è, un motore indispensabile per la vita, la nuova fatica di Clint lascia abbastanza distaccati, senza mai davvero coinvolgere (salvo un paio di "facili" momenti forti).
Sulle pur interessanti basi del film si intrecciano (male, dal punto di vista narrativo) le vite dei tre protagonisti: il sensitivo americano George (Matt Damon), la giornalista francese Marie (Cécile De France) e il piccolo Marcus (Frankie e George McLaren). Tutti e tre dovranno confrontarsi con la morte ma, soprattutto, come da titolo, con l'idea che un aldilà esiste.
La trama vorrebbe porre sullo stesso piano le tre linee narrative, ma proprio qui si evidenziano i problemi che affliggono il film per tutta la sua durata: non basta dividere equamente il minutaggio tra i tre personaggi per rendere calibrata una sceneggiatura. Lo script, pur attento al percorso psicologico-esistenziale dei personaggi, non decolla mai. La preferenza per le vicende del sensitivo George, poi, è così evidente che la freddezza degli altri due episodi spicca ancora di più (le lungaggini sulla situazione francese sono a tratti intollerabili).
Non si tratta di problemi di regia. Il buon vecchio Clint, come al solito, gestisce la macchina da presa in maniera essenziale quanto impeccabile, concedendosi di rado qualche vezzo (pensiamo a quando si destreggia contemporaneamente tra un gioco di specchi lungo una scala a chiocciola, o al volto di George, simbolicamente diviso tra luce e oscurità). Il tentativo dello sceneggiatore Peter Morgan di imitare la semplicità del leggendario regista, però, scade in una narrazione fredda, spesso asettica. Di questo risente tutta la pellicola.
Per Eastwood, insomma, un'opera non all'altezza delle precedenti e tra le più dimenticabili, ma siamo sicuri che si tratti solo di un passo falso. Prossimo appuntamento con questa vecchia roccia del cinema mondiale, un biopic sul più famoso capo dell'FBI, interpretato da Leonardo di Caprio: J. Edgar.
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Commenti
Non gradisco neanche come manovra i suoi personaggi e come imposta il clima. I repentini passaggi da caldo a freddo della prima ora, soprattutto dal flirt tra George e la compagna di cucina e la fuga di lei, provocano escursioni termiche insostenibili.
Buona, molto buona, la sequenza dei fratellini fino alla morte del maggiore compresa. Ma, in generale, Clint Eastwood come autore pare non aver dato buona prova di sé. Sappiamo che lo sa e può fare. Non è necessario avere solo una buona sceneggiatura p
Di
Luca
il 14/01/2011 @ 13:28:12
Nuovo commento
Disclaimer
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Uno dei problemi è probabilmente l'essersi basato su uno spec script che avrebbe richiesto un attento lavoro di revisione e sfrondamento da un team di almeno tre sceneggiatori.
A parere del sottoscritto, il film rende abbastanza bene nella prima ora. Nonostante la netta preferenza per la timeline sul medium George, le prime sequenze sui fratellini sono state un esempio di grande cinema. Riscontro una parabola discendente che parte subito dopo la morte del fratello.
Se il film ci vuole comunicare che anche nella morte si può trovare il conforto del caldo abbraccio di solidarietà, se nella disgrazia si può cercare consolazione, qualcosa non convince. Il film a tratti sembra rischiare di piegarsi alla volontà di farsi aiutare da chi è ormai morto e questo si sposa male con la conclusione finale, in cui i tre protagonisti convergono in una Londra cupa fa da sfondo a un ideale incontro di risoluzione.
Tremenda e da dimenticare la fine tra il
Di Luca il 14/01/2011 @ 13:24:06